DIFFERENZE TRA REGOLAMENTO CONTRATTUALE E REGOLAMENTO ASSEMBLEARE
Disciplinato all’art. 1138 del codice civile, il regolamento di condominio contiene l’insieme delle norme e regole relative all’amministrazione, alla gestione delle parti comuni, alla ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi di ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio.
La formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam (Cass. Civ. Sez. II n. 18665 del 16.09.2004) e, nel caso in cui contenga clausole limitative di diritti esclusivi dei condomini, va trascritto nei pubblici registri immobiliari, al fine di poter opporre dette clausole ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell’edificio (Cass. Civ. Sez. II n. 22582 del 07.11.2016).
Natura
Il regolamento viene adottato dall’assemblea con la maggioranza prevista all’art. 1136, comma 2, C.c., salvo che si tratti di regolamento “contrattuale” nel qual caso è necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini, da formalizzare in un vero e proprio contratto.
Definire il regolamento “contrattuale” tuttavia non è corretto; più precisamente, sono le singole clausole in esso contenute a dover essere qualificate di natura contrattuale o di natura assembleare: molto spesso infatti, all’interno dello stesso regolamento, coesistono entrambe le tipologie di clausole.
Pertanto, nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un regolamento predisposto dal costruttore dell’edificio o dall’originario singolo proprietario dell’immobile o redatto sottoforma di contratto sottoscritto da tutti i condomini, ci si deve interrogare sulla natura di ogni singola clausola. Ciò è fondamentale per stabilire le modalità attraverso cui poter procedere alla modifica delle stesse: per le clausole regolamentari la modifica può avvenire con decisione assunta dalla maggioranza dei condomini ai sensi dell’art. 1136, comma 2, C.c. mentre la variazione di clausole di natura contrattuale richiede il consenso unanime.
Come distinguere la natura di ogni singola clausola?
Per rispondere al quesito va analizzato il contenuto della clausola, anche a prescindere da chi l’abbia materialmente redatta, un soggetto esterno o gli stessi condomini. Se il contenuto della clausola limita il diritto dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attribuisce ad alcuni maggiori diritti rispetto ad altri, la natura non può che essere contrattuale; se, diversamente, si limita a disciplinare l’uso dei beni comuni secondo quanto prescritto dalla normativa, la clausola ha natura regolamentare (Csss. SS.UU. n. 943 del 30.12.1999 e Cass. Civ. Sez. II n. 23255 del 15.11.2016).
Contenuto:
Il regolamento contiene le norme necessarie per gestire il condominio, quali ad esempio il potere di rappresentanza dei condomini in assemblea e i poteri dell’amministratore. I condomini sono liberi di decidere di regolamentare ogni aspetto: a) in modo conforme alla legge, in tal caso le decisioni verranno prese a maggioranza, b) in modo difforme, ma, in tal caso, soltanto con il consenso di tutti e nei limiti imposti dagli artt. 1138, comma 4 C.c e 72 disp. Att. C.c. Tale limite è vero soltanto in parte: gli articoli appena citati dichiarano alcune norme inderogabili, tuttavia una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che a tali norme non si possa derogare neppure con clausole di natura contrattuale perché poste a tutela di un interesse pubblico, secondo altri, invece, con esse il Legislatore intendeva soltanto evitare che la maggioranza potesse ledere i diritti della minoranza, ma in caso di accordo unanime il problema è superato.
Ai sensi dell’art. 1102 c.c. “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Secondo dottrina e giurisprudenza, in relazione alla disciplina delle cose comuni i condomini possono trovare un accordo riguardo l’uso e le modalità di godimento delle stesse ma devono attenersi a quanto prescritto la legge riguardo la misura e l’intensità del godimento: nessun condomino può essere totalmente escluso dall’uso delle cose comuni.
Il regolamento può dunque prevedere legittimamente limiti di destinazione alle facoltà di godimento o imporre divieti, sempreché i pregiudizi che la clausola regolamentare mira ad impedire siano meritevoli di tutela ed espressi chiaramente per evitare fraintendimenti (Cass. Civ. Sez. VI n. 19229 del 11.09.2014).
Le spese vengono ripartite tra i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. I criteri di ripartizione, attraverso cui si calcolano le tabelle millesimali, possono dunque derogare alla normativa, se frutto dell’accordo unanime dei condomini. Ciò comporta che anche la revisione delle stesse dovrà ottenere il consenso di tutti i condomini proprietari delle singole unità immobiliari.
Il regolamento può prevedere clausole che limitino condotte potenzialmente dannose per il decoro dell’edificio, inteso in senso ampio non solo come decoro architettonico ma come insieme dei comportamenti che influiscono sull’immagine esteriore dell’immobile.
L’ampiezza di detta limitazione sarà indice della natura contrattuale o meno della clausola.
Ad esempio, la riforma del condominio di cui alla L. 220/2012 ha introdotto il comma 5 dell’art.1138 C.c. prevedendo che il regolamento non possa vietare di possedere o detenere animali domestici. Pertanto l’assemblea non potrà escludere la detenzione di un animale d’affezione con un semplice voto di maggioranza, resta aperto il dibattito se si possa o meno prevedere tale divieto generale e assoluto tramite una clausola contrattuale. Secondo una parte della dottrina il regolamento contrattuale può prevedere tale limitazione, trovando l’unico limite nell’inderogabilità delle norme imperative e di interesse pubblico. Per altri interpreti una siffatta clausola sarebbe nulla a prescindere dalla natura del regolamento in essere. Il dibattito rimane aperto.